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Beckett, sarto gnostico del 900

Il riuscito saggio di Nicola Pasqualicchio tenta un'interpretazione gnostica dell'opera di Beckett.

Il “sarto gnostico” rimanda chiaramente al protagonista della barzelletta che Nagg racconta a sua moglie in Finale di partita. Lo stilista-artigiano che rivendica la superiorità del suo incompiuto paio di pantaloni rispetto alla bruttezza della Creazione è immagine dell’artista che avoca il fallimento e al tempo stesso la dignità della sua opera. Ed è dunque metafora di Beckett stesso. È solo una delle tante riuscite similitudini che intessono il bel saggio di Nicola Pasqualicchio, Il sarto gnostico appunto (edizioni Ombre Corte, 2006), il cui sottotitolo (Temi e figure del teatro di Beckett) è piuttosto limitativo perché l’autore sconfina spesso, e giustamente e inevitabilmente, anche nella produzione “altra” del Nostro.

Un’analisi che ci sembra discostarsi dalla chiave di lettura più positivamente teologica proposta qualche anno fa da Annamaria Cascetta (che pure l’autore cita favorevolmente) e che viene condotta dunque seguendo la traccia – qui ben argomentata – dell’interpretazione gnostica dell’opera beckettiana (e qui è inevitabile la similitudine con un altro interessante studio apparso in libreria in questi giorni e cioè La via dell’impossibile. Le prose brevi di Beckett di Aldo Tagliaferri). Ma lo gnosticismo beckettiano – qui messo in contrapposizione con quello di un altro grande del teatro del Novecento: Artaud – non conosce soluzione positiva: l’errore della Creazione non può essere risolto in nessun modo ma solo perpetuato.

Ecco perché nella prima parte del saggio Pasqualicchio rovescia in modo spiazzante la trita e ormai insopportabile domanda (“Godot è Dio?”) in un nuovo, ben più fertile, interrogativo, e cioè: Dio è Godot? E conclude: “buono, degno di un Dio sarebbe l’atto che al mondo ponesse termine. Dio non può essere all’origine del mondo, al polo della creazione. Potrebbe esserne alla fine, al polo della salvezza. Anzi, dovrebbe esserne la fine. Ma la fine (cioè la salvezza, cioè Godot, cioè Dio) è dicibile solo in quanto mancante. Alla creazione non c’è rimedio”.

Due appendici – la prima dedicata al pattern del personaggio dell’Apritore (che compare esplicitamente in Cascando, ma che qui viene fatto risalire in maniera latente fino al personaggio di Pozzo in Aspettando Godot), l’altra dedicata al pattern del Fantasma – chiudono questo saggio di Pasqualicchio che trova nella valenza delle conclusioni e nella chiarezza espositiva i suoi maggiori pregi.

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