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«Testo a fronte» per il Centenario

Il numero 35 del semestrale di teoria e pratica della traduzione letteraria, edito da Marcos Y Marcos, è interamente dedicato a Samuel Beckett.

Il numero 35 di Testo a fronte, semestrale di teoria e pratica della traduzione letteraria, edito da Marcos Y Marcos è interamente dedicato a Samuel Beckett. Il volume esce in occasione del Centenario (è infatti datato dicembre 2006, sebbene sia in circolazione da poco tempo). Oltre trecento pagine di contributi critici, alcuni dei quali inediti in Italia.

Il volume si apre con un saggio di traduzione firmato Susanna Basso che propone la sua versione di quattro prose brevi beckettiane: Heard in the dark 1 e 2 (da Compagnia), One evening e As the story was told. Segue la già nota traduzione firmata da Beckett di Delta di Montale (era apparsa recentemente su Playbeckett, Edizioni Halley, 2006).

Andrea Inglese, uno dei due curatori del volume, introduce quindi la prima parte di interventi, incentrata sulle divergenze che caratterizzano i diversi approcci alla poetica beckettiana. Particolarmente interessanti, in questa sezione, la Cronachetta italiana firmata dal battagliero Aldo Tagliaferri che si scaglia, con il suo noto forbito sarcasmo, contro lo scempio compiuto ai danni della prosa beckettiana dalle vecchie traduzioni italiane di Beckett (in particolare l’edizione Sugarco della cosiddetta trilogia); la lettura del poeta Giuliano Mesa («Beckett è le sue voci, tutte. Se così non fosse, vi sarebbe una distinzione tra mezzo e fine, ancora una postura dall’alto in basso. Vi sarebbero risposte, non domande»); infine, l’intervento di Alain Badiou.

Ma è la seconda sezione critica, quella curata da Chiara Montini, il punto di forza di questo numero monografico di Testo a fronte. In un periodico dedicato alla traduzione, è ovviamente l’eccezionalità del bilinguismo beckettiano, di questo continuo cambio di polarità dall’inglese al francese e viceversa che diventa strumento di poetica, a farla da padrone. Qui è impossibile non citare le interessantissime testimonianze di Elmar Tophoven (che iniziò la sua “carriera” di traduttore beckettiano nel 1952 con la versione tedesca di Aspettando Godot) e di Ludovic Janvier e Agnès Vaquin-Janvier (ghiottoneria per appassionati la loro cronaca minuziosa delle giornate alla scrivania con Beckett nel tentativo di supportare l’autore nel difficilissimo compito di tradurre Watt dall’inglese al francese). Così come di altrettanto godibile lettura è il saggio di Erika Ostrovsky, Il silenzio di Babele, un testo di trent’anni fa ma dagli smaglianti contenuti critici. Ottima la scelta di far chiudere il volume alla nota di Gabriele Frasca (già apparsa nell’edizione einaudiana di Watt del 1998) con quella felice immagine del corpo del traduttore beckettiano “scosso dalle più autentiche, gustose, dianoetiche risate della sua vita“.

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