Nelle parole degli altri

Beckett & Bergman

La distanza tra i due artisti in un articolo di Fabio Francione apparso sul Cittadino.

Riferendosi al grande regista svedese Ingmar Bergman (scomparso ieri), Fabio Francione scrive (il grassetto è mio):

è stato uno di quegli uomini che hanno saputo maneggiare il Novecento e dar corpo – attraverso le immagini, ma anche sulle assi di un palcoscenico (la sua traduzione, sola e unica fatta, dell’ibseniano “Spettri” dovrebbe circolare come manuale di messa in scena) e finanche con le parole – a uomini e donne, della sua terra e di epoche e tempi diversi, ciò possibile solo con la “finzione” spinta al massimo grado tecnologico (…) Tutto un capitolo dovrebbe essere dedicato alla tv e non solo per “Scene da un matrimonio” o l’altrettanto e fin troppo ferocemente autobiografico “Fanny e Alexander”: forse anche troppo corpo, carne e sangue, come Pasolini aveva individuato calcandone in negativo le virtù pur definendolo “grande regista” e amandolo “senza fatica”. Anche Beckett l’aveva compreso tanto che quando Bergman gli chiese di mettere in scena Tutti quelli che cadono e Ceneri, due radiodrammi, la sua risposta fu un perentorio no. In tale prospettiva si capisce la stima e la rivalità che lo accomunava e contrapponeva, peraltro contraccambiate, anche negli Oscar vinti, al “fratello di mestiere” Federico Fellini

L’articolo completo potete leggerlo su Il Cittadino di oggi.

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