Alla ricerca della speranza nelle opere di Beckett
"Aspettare Godot?" di Guido Gatti, pubblicato dall'editrice Ancora, si colloca nel filone critico che tenta una lettura spirituale dell’opera dell'Irlandese.

Quando Giorgio Strehler mise in scena Giorni felici di Beckett nel 1982, sottolineando con un gesto l’attaccamento alla vita di Winnie, ricevette dall’autore del testo, generalmente assai severo con chi interpretava troppo liberamente le sue opere, una lettera in cui rassicurava il regista triestino che i suoi personaggi vogliono sempre e comunque affermare la vita anche quando è la peggiore delle condizioni possibili. Non stupisce allora che Guido Gatti faccia culminare proprio nell’analisi di Giorni felici il suo agile saggio Aspettare Godot? Tracce di speranza nei drammi di Samuel Beckett (Ancora Libri, 2008), uno studio alla ricerca di un messaggio positivo nell’opera dell’Irlandese, in contrasto con l’immagine di profeta del nichilismo che decenni di storia e di critica gli hanno affibbiato.
La lettura di un’opera d’arte che si prefigga di mettere in luce il messaggio di vita che l’opera stessa può dischiudere è normalmente guardata con molta diffidenza e sospetto dagli esperti di estetica e dai cultori della critica letteraria. Essa è vista spesso come un tentativo maldestro di imporre all’autore un pensiero che gli era in verità ignoto.
Guido Gatti, “Aspettare Godot?”
Gatti, sacerdote salesiano e docente di teologia morale, apre con una premessa di ammirevole onestà intellettuale: «Va detto che la lettura di un’opera d’arte che si prefigga di mettere in luce il messaggio di vita che l’opera stessa può dischiudere è normalmente guardata con molta diffidenza e sospetto dagli esperti di estetica e dai cultori della critica letteraria. Essa è vista spesso come un tentativo maldestro di imporre all’autore un pensiero che gli era in verità ignoto». Ecco allora che l’esegesi positiva di Beckett viene condotta seguendo un codice interpretativo chiaro (il rapporto tra i personaggi – visti soprattutto come “soggetti morali” – e il teatro scenico in cui la loro azione si svolge) e con l’intento di scoprire, senza forzature, tracce nascoste di speranza, laddove ce ne fossero.
L’analisi si ferma alla produzione teatrale di Beckett (e questo è probabilmente un limite, dal momento che si va facendo sempre più strada tra studiosi e lettori l’idea di un’iper-genere beckettiano che travalica e fonde le varie discipline in cui il Nostro si è cimentato) e tocca i principali capolavori della sua produzione, con particolare attenzione appunto alla dialettica tra personaggio e scena. Dalla tana di Krapp (che è un campione di squallore del mondo esterno perché squallida e misera è la visione che il vecchio artista sceglie nell’osservazione di sé e della vita) all’albero sotto cui Vladimiro ed Estragone attendono Godot (qui un grandissimo peso viene dato all’apparizione delle foglie nel secondo atto: «l’attesa di Godot resta frustrata fino alla fine, ma aiuta i due sventurati personaggi a difendere meglio la loro minacciata umanità nell’inferno in cui vivono e, alla fine, permette loro di vedere il piccolo miracolo dell’albero fiorito, unico segnale che forse – e ci mettiamo con questo “forse” dalla parte di beckett – l’attesa di Godot non resterà delusa»). Dal “carcere” di Finale di partita in cui languiscono Hamm e Clov (che per la prima volta non vengono visti solo come vittime di una situazione angosciante, ma anche come campioni di bassezza morale e cattiverie reciproche) fino alla desolazione terribile in cui affonda, letteralmente, Winnie. E qui non possiamo non essere d’accordo con Gatti, nel notare come giunto a Giorni felici Beckett ribalti la visione di un suo protagonista, non più sarcasmo e sprezzante squallore bensì un inspiegabile amore verso il terribile mondo circostante. Winnie, fino all’ultimo, rivendica il suo diritto a dichiararsi felice. Abbrutita dal nulla, immobilizzata, senza speranze, ma felice.
L’attesa di Godot resta frustrata fino alla fine, ma aiuta i due sventurati personaggi a difendere meglio la loro minacciata umanità nell’inferno in cui vivono e, alla fine, permette loro di vedere il piccolo miracolo dell’albero fiorito.
Guido Gatti, “Aspettare Godot?”
Come può compiersi questo miracolo? «Non è così facile sapere se le filosofie negativistiche di cui si compiacciono tanti settori della nostra cultura debbano essere viste come una interpretazione fedele della realtà del mondo, tale da giustificare il cinismo e il disimpegno morale, oppure siano solo il prodotto di questo stesso cinismo e di questo disimpegno collettivo», sostiene Gatti. E dunque «il mondo più ostile e più assurdo, nella sua consistenza materiale, come quello in cui sono misteriosamente situati Winni e Willie in “Giorni felici”, può parere sensato e perfino bello per persone capaci di amare».
Il saggio di Gatti si colloca insomma in quel filone critico che tenta una lettura spirituale dell’opera di Beckett, rintracciandone i rimandi (che effettivamente ci sono) alla tradizione religiosa; filone a cui possiamo ascrivere Il tragico e l’umorismo di Annamaria Cascetta, in cui vengono smascherate moltissime citazioni bibliche ed evangeliche nascoste nei testi dell’Irlandese, e Il sarto gnostico di Nicola Pasqualicchio che individua in modo convincente forti connessioni tra la poetica di Beckett e il movimento gnostico. Proprio quando tocca le corde della morale, questo volume firmato da Guido Gatti, che soffre forse di un’impostazione troppo didattica e di qualche errore (L’opera Play – Commedia – viene tradotta con Persone), offre le sue pagine migliori. In appendice un’intervista a Franco Branciaroli.