Cosa lega Beckett a Lynch, Nauman e Ader?
Se lo chiede Giuseppe Signorin in un saggio pubblicato da OMP.
Quando leggo libri come Legami di Giuseppe Signorin (uscito l’ottobre scorso per le Edizioni O.M.P. di Pavia) mi chiedo sempre quale altro nume del Novecento, oltre a Beckett, potrebbe essere alla base di operazioni letterarie come questa. Non certo Kafka o Pirandello, non certo Proust o Musil e neanche mastro Joyce, a ben vedere. Qualcuno potrebbe dire che ciò non accade per meri motivi anagrafici: tutti questi maestri sono morti quando la letteratura e le arti visive erano ancora ambiti separati e distinti; quando, insomma, l’intermedialità ancora era ancora da concepire. Ma non c’è dubbio che, al di là di questo, Beckett abbia messo in crisi più di ogni altro la distinzione tra i generi.
Già, perché il saggio (e non solo) di Signorin – il cui sottotitolo, per venire al dunque, è Da Beckett a Lynch, Nauman, Ader – indaga proprio le connessioni artistiche che legano l’Irlandese a tre apparentemente improbabili vicini di poetica: il visionario regista statunitense David Lynch, l’olandese Bas Jan Ader, artista concettuale disperso in mare nel 1975 e il videoartista americano Bruce Nauman.
Nel pieno segno della molteplicità dei registri, il giovane studioso (Signorin è nato nel 1982, tiene seminari sul rapporto tra cinema e poesia alla IULM ed è autore di un romanzo sperimentale, Appartamenti, apparso nel 2006) conduce la sua analisi ricorrendo ora al diario, ora alla critica vera e propria, ora alle interviste (il monologare del saggista si espande in dialogo grazie a una serie di colloqui con Gabriele Frasca, Alcide Pierantozzi, Alfonso Cariolato e Cesare Pietroiusti).
Ma Legami stesso è oggetto artistico. L’artista visivo Andrea De Stefani, infatti, è intervenuto sulle pagine di Signorin sottolineando alcune parole, cerchiandole, chiosando alcuni passaggi con una calligrafia microscopica, compiendo un gesto opposto ma vicino alle celebri “cancellature” di Emilio Isgrò.
Beckett, insomma, non come figlio della tradizione modernista (chi scrive queste note non lo ha mai pensato, del resto), ma come padre dell’arte arcimediale del tardo Novecento e dei nostri giorni. Un isotopo artistico le cui radiazioni vengono ancora captate ed elaborate da esponenti delle forme espressive più diverse.