Adriatico: toccare l’intoccabile
Nel volume a cura di Stefano Casi ("Non io nei giorni felici" edito da Titivillus) il complesso rapporto tra Beckett e il regista aquilano.
Degli allestimenti beckettiani firmati da Andrea Adriatico avevo già avuto modo di parlare. Oggi l’editore Titivillus manda in libreria un ricco volume collettivo con un inserto di foto a colori intitolato Non io nei giorni felici curato da Stefano Casi e interamente dedicato a Beckett e alle messinscene del regista aquilano.
Il volume è articolato in due sezioni (e su questa struttura tornerò presto): la prima raccoglie studi che offrono letture poco diffuse delle opere beckettiane (interessanti in questo senso i contributi di Stanley Gontarski, vera e propria autorità beckettiana, che vede in Atto senza parole I non una sconfitta ma un trionfo dell’esistenzialismo oppure il testo di Stefano Casi in cui la Winnie di Giorni felici viene proposta come icona del kitsch). La seconda sezione indaga invece il corpo a corpo che – a intermittenza ma dai suoi esordi come regista – Andrea Adriatico sta ingaggiando con Beckett, l’«intoccabile» Beckett come lui stesso lo definisce nel corso dell’intervista raccolta da Giacomo Paoletti.
Curioso come la questione cruciale della fedeltà al testo beckettiano sia sostanzialmente ignorata nei contributi della seconda sezione mentre Adriatico, nell’intervista, la affronti giustamente in modo diretto.
Il lavoro di Adriatico su Beckett tocca una questione cruciale e cioè quella della fedeltà al testo, tanto più cruciale quando l’autore è Beckett (curioso, in questo senso, che tale aspetto sia sostanzialmente ignorato nei vari contributi della seconda sezione mentre Adriatico, nell’intervista, lo affronta giustamente in modo diretto). Di nuovo, inutile tentare di dire la parola definitiva su un tema tanto spinoso e lungamente dibattuto (a maggior ragione da parte mia, dal momento che non ho avuto modo di vedere gli spettacoli di Adriatico e dunque come è mia prassi ritengo più corretto non dire nulla). Quel che è sicuro è che in questo volume della Titivillus ognuno avrà la possibilità di trovare molto materiale per farsi un’idea.
Mi sembra in particolare che la struttura in due parti – da un lato letture inconsuete dell’opera beckettiana, dall’altro analisi del lavoro che Adriatico ha compiuto sui testi di Beckett – rimandi alla linea di confine ambigua e tuttavia ineludibile che c’è tra libera interpretazione e libera rappresentazione: linea di confine che è il vero teatro in cui si situa il corpo a corpo tra autore, regista e spettatore.