Nuova edizione completa delle prose brevi
Einaudi sta finalmente riportando in libreria il prezioso catalogo beckettiano. Tornano così disponibili testi introvabili da almeno vent'anni.

«Brusquement, non, à force, à force». Così inizia il primo dei tredici Testi per nulla di Samuel Beckett. E non ho potuto fare a meno di collegare quest’incipit con la modalità con cui Einaudi sta finalmente riportando in libreria il prezioso catalogo beckettiano dopo averlo detenuto in ostaggio, modalità davvero tutt’altro che subitanea, anzi faticosa, da apparire quasi forzata. Ad esempio ancora manca all’appello un’edizione tascabile e di facile reperibilità di quel monumento del romanzo novecentesco che è la trilogia costituita da Molloy, Malone muore e L’Innominabile (erano partiti bene nel 2005 con la riedizione nella bella traduzione di Tagliaferri del primo titolo. Poi si sono fermati. Noi siamo qui che aspettiamo. Del resto, che beckettiani saremmo se non sapessimo aspettare?). Ma niente recriminazioni oggi: c’è solo da essere felici per questa nuova edizione completa e ben curata dei racconti e delle prose brevi di Samuel Beckett che riporta in vita testi – alcuni dei quali davvero fondamentali – sostanzialmente introvabili da almeno vent’anni.
Il recentissimo volume Racconti e prose brevi, curato da Paolo Bertinetti per la collana Letture di Einaudi, contiene la quasi totalità dei racconti e delle prose brevi di Samuel Beckett, con alcune sensate eccezioni: mancano Compagnia, Mal visto mal detto e Peggio tutta (che la critica più recente tende ormai a considerare più romanzi brevi che racconti lunghi – e che comunque Einaudi aveva pubblicato appena due anni fa nella stessa collana in un’edizione curata dal visceralmente beckettiano Gabriele Frasca). C’è invece il racconto Dante e l’aragosta che pur essendo il pezzo d’apertura della raccolta Più pene che pane fu pubblicato a parte su rivista e quindi ha dignità di testo autonomo. Mancano Heard In The Dark I e Heard In The Dark II (perché sono confluiti nel tessuto di Compagnia) mentre c’è L’immagine che pur essendo solo una bozza di lavorazione di uno dei capitoli del romanzo Come è ha sempre avuto una vita editoriale autonoma, compresa la prima edizione italiana del 1989 che la vedeva partecipare a un volume di tre prose brevi insieme a Senza e a Lo spopolatore tutte nella traduzione di Renato Oliva.
E parliamo di traduzioni allora. In questo volume c’è un mix di vecchio e nuovo. Valerio Fantinel ha ritradotto Da un’opera abbandonata (e stavolta il lavoro è decisamente migliore rispetto alla sua lontana prova del 1969, sempre per Einaudi, poi ripubblicata da SE nel 2003). Due delle primissime prose beckettiane (Assunzione e Un caso su mille) che erano state pubblicate questo stesso anno dall’editore Via del Vento per la traduzione di Francesco Cappellini vengono qui portate nella nostra lingua rispettivamente da Massimo Bocchiola e Susanna Basso. Lo stesso Bertinetti ritraduce Dante e l’aragosta che fino a oggi era disponibile (si fa per dire, visto che quell’edizione è introvabile) solo nella traduzione di Alessandro Roffeni per SugarCo (1994). Ma il lavoro più consistente è probabilmente quello che ha compiuto Gabriella Bosco sui meravigliosi Testi per nulla e che restituisce limpidamente la bellezza di queste tredici prose (l’ultima traduzione in circolazione dei Textes pour rien era quella di Carlo Cignetti, sempre per Einaudi, 1979, ormai fuori catalogo. Di Cignetti sopravvivono, in questo volume, le traduzioni delle tre note novelle Lo sfrattato, Il calmante e La fine).
Paolo Bertinetti firma un’introduzione di grande precisione tecnica che si chiude con un giudizio emotivo che vale la pena riportare:
L’opera di Beckett resterà come uno dei massimi esempi di comunicazione dell’esperienza nell’epoca della distruzione dell’esperienza, insieme a quella di Kafka e di Joyce. A noi, che di quella stessa epoca ancora facciamo parte, i testi beckettiani parlano con un linguaggio che non possiamo non riconoscere come nostro. Anche se forse alle generazioni future appariranno come facenti parte di una letteratura talmente ripiegata sulla forma (sulle possibilità e sui modi possibili dell’espressione letteraria) da essere considerata come una letteratura soffertamente barocca.