L’apicoltura secondo Beckett
Il classico espediente del manoscritto ritrovato è alla base del nuovo romanzo di Martin Page che vede lo scrittore alle prese con un improbabile assistente.
Incontrare Samuel Beckett non come autore ma come personaggio di narrazioni altrui non è una novità, almeno in Italia. Già una decina di anni fa, Vitaliano Trevisan aveva dedicato una pièce teatrale agli ultimi giorni di vita di Beckett e una simile ispirazione aveva guidato Osvaldo Guerrieri per il suo racconto L’ultimo nastro di Beckett. Ora possiamo aggiungere anche il nuovo romanzo dello scrittore francese Martin Page, L’apicoltura secondo Samuel Beckett, tradotto da Tania Spagnoli e pubblicato in Italia dall’editore fiorentino Clichy.
Partendo dal classico espediente del manoscritto ritrovato, Page immagina che nel riordinare l’archivio dell’Università di Reading, che possiede una delle principali collezioni di materiali beckettiani, salti fuori un documento sconosciuto: il diario di un giovane universitario in cui l’autore racconta di avere lavorato per un certo periodo di tempo per Samuel Beckett. Questo inaspettato assistente – il cui nome non viene mai rivelato – svela un Beckett inedito: ormai diretto verso gli ultimi anni della sua vita, il grande scrittore irlandese si concede in privato eccentrici capi di vestiario e lascia crescere fluentemente barba e capelli. Insieme allo studente, Beckett costruisce ad arte finti documenti che lo riguardano da donare agli archivi delle università in ogni parte del mondo.
Beckett pensa che questa fame di cellulosa sia priva di ogni valore scientifico. È un puro desiderio di possessione, qualcosa che ha più a che vedere con il feticismo che con la ricerca universitaria.
da «L’apicoltura secondo Samuel Beckett» di Martin Page, Clichy edizioni, 2013
«Bisogna prendere gli archivi come una finzione costruita da uno scrittore e non come la verità» ha detto. «E cosa ci dice questa finzione? Questo è il vero compito dei ricercatori».
Mi sono ricordato che anche Beckett stava per diventare accademico. Studente brillante, era destinato a quell’esistenza. Conosce bene quel mondo. Ho voluto sapere se non aveva paura di travisare l’interpretazione della sua opera dando false informazioni sulla sua vita.
«Non sappiamo niente sulla vita di Omero, poche cose su quella di Cervantes, di Shakespeare e di Molière, ma questo non impedisce a certi autori di essere universali e di ispirare critiche letterarie. La vita personale è molto sopravvalutata».
Martin Page vuole suggerirci l’idea che esiste un Beckett segreto che è il vero Beckett, un Beckett diverso dall’immagine che critici e lettori hanno costruito nel corso del tempo. «È snervante – confesserà a un certo punto Beckett al suo assistente – queste persone che pensano che io sia divertente quando invece sono serio, e pensano che io sia serio quando cerco di essere divertente». Ma non c’è solo questo: il Beckett immaginato da Page mette da parte armi e viveri, come il Woody Allen di Anything Else, nel caso scoppiasse una rivoluzione o un colpo di stato, ha un ottimo appetito, gioca a bowling e – soprattutto – alleva api sulla terrazza del condominio di boulevard St. Jacques, dove si trova il suo appartamento.
Ho bisogno delle api per ricordare a me stesso che possono accadere anche cose meravigliose.
da «L’apicoltura secondo Samuel Beckett» di Martin Page, Clichy edizioni, 2013
E così l’io narrante del romanzo si trova a condividere con Beckett – oltre alla riorganizzazione del suo archivio e al coordinamento di una messinscena di Aspettando Godot presso un carcere svedese (chiaro riferimento al Godot che fu realmente allestito dai detenuti di San Quintino nel 1957) – anche molti momenti quotidiani: le colazioni e i pasti, la cura delle arnie, la lettura della corrispondenza.
L’apicoltura secondo Samuel Beckett ha una prosa agile, può essere letto come una delicata satira sul ruolo dell’artista nella società, ma i beckettiani più esperti si divertiranno anche a trovare i molti dettagli e riferimenti con la vera biografia di Beckett disseminati nel testo.