Adorno e il nulla positivo
L’Orma manda in libreria una collezione di scritti del filosofo tedesco che aiutano a rimettere nella giusta prospettiva il suo rapporto con l'opera di Beckett.
Gli appassionati di aneddotica beckettiana conoscono bene il battibecco avvenuto tra Samuel Beckett e Theodor W. Adorno a proposito dell’etimologia di Hamm, uno dei protagonisti di Finale di partita. Il filosofo tedesco sosteneva che quel nome fosse una rabbiosa abbreviazione dell’Hamlet di Shakespeare. Beckett rigettò con vigore tale interpretazione, arrabbiandosi visibilmente dopo l’insistenza di Adorno, come riporta anche il direttore della casa editrice Suhrkamp, Siegfried Unseld, presente alla discussione avvenuta nel febbraio del 1961.
Perfino nella dettagliatissima biografia di Samuel Beckett firmata da James Knowlson, il celebre filosofo della Scuola di Francoforte compare citato solo in occasione di questo spiacevole diverbio.
Oggi la casa editrice L’Orma manda in libreria una collezione di scritti di Theodor W. Adorno (Il nulla positivo, con una postfazione ricca e godibilissima, come spesso accade quando la firma è quella di Gabriele Frasca, curatore del volume) che aiutano a rimettere nella giusta prospettiva il rapporto tra questi due grandi nomi del Novecento.
Ad aprire il volume è la trascrizione di una trasmissione andata in onda il 2 febbraio del 1968 per la Westdeutscher Rundfunk dell’allora Repubblica Federale Tedesca. Un dibattito televisivo, moderato da Hans-Geert Falkenberg, impensabile oggi per durata, livello dei partecipanti e profondità di contenuti (lo stesso Adorno, proverbialmente critico nei confronti dei nuovi media, scriverà al conduttore “Ci tengo a ringraziarla ancora una volta di cuore per questa iniziativa che apre al mezzo televisivo davvero possibilità altrimenti mai sfruttate”) . Ospiti in studio, Martin Esslin, uno dei maggiori critici beckettiani, lo scrittore austriaco Ernst Fischer, il critico e giornalista tedesco Walter Boehlich e lo stesso Adorno.
Nel dibattito tra i quattro intellettuali – che a oltre cinquant’anni di distanza brilla per vivacità e ricchezza di contenuti – a far la parte del leone è Martin Esslin, il cui acume di speculazione critica pesa in modo evidente.
A margine della proiezione di Film e di una rappresentazione di Commedia, i quattro intellettuali affrontano le profondità della poetica beckettiana, correggendo reciprocamente il tiro delle proprie interpretazioni e dando vita a un confronto – in cui, va detto, a far la parte del leone è Esslin, la cui conoscenza anche diretta dell’autore irlandese e l’acume della speculazione critica, pesano in modo evidente – che ancora oggi, a oltre cinquant’anni di distanza, brilla per vivacità e ricchezza di contenuti.
Il nulla positivo (la formula è di Adorno, che la fa discendere direttamente dallo stesso Beckett, per il quale – secondo il filosofo tedesco – l’esistenza umana tende al raggiungimento di un nulla che non può essere inteso se non come la negazione di qualcosa che esiste) prosegue dunque con la riproposizione del noto Tentativo di capire “Finale di partita”. Noto per fama, ma di fatto da anni introvabile. Lo avevano pubblicato Mondadori nel 1965 e SugarCo nel 1994 in apertura delle rispettive edizioni della cosiddetta “trilogia” costituita da Molloy, Malone muore e L’innominabile, e poi ancora Einaudi/Gallimard nel volume Teatro completo, ma tutte queste edizioni sono ormai reliquie da collezionismo. Ben venga dunque la riproposizione da parte de L’Orma anche di quello che può essere considerato il cimento più profondo di Adorno con l’opera di Beckett.
Possibilità di interpretare Beckett come il tentativo di rispondere al biblico “e in polvere tornerai.” Come al catechismo domandare: cosa significa io sono polvere? È consolante ricevere una risposta a questo quesito?
La critica a Beckett conduce alla frase: “Tutto ciò è proprio terribile, non può essere!” Risposta: “È terribile.”
Theodor W. Adorno, “Schizzi per un’interpretazione de L’innominabile”
Se la trascrizione della trasmissione televisiva della Westdeutscher Rundfunk costituisce il momento più denso del volume, le pagine più fertili e ricche di spunti sono quelle che contengono gli appunti presi da Adorno nei primi anni Sessanta per un’interpretazione del romanzo L’innominabile, interpretazione che non vedrà mai compiutamente la luce, ma che già così, allo stato grezzo, fornisce al lettore beckettiano materiale per pensare e soprattutto ripensare il proprio giudizio su questo romanzo e sul suo autore in generale (“Possibilità di interpretare Beckett come il tentativo di rispondere al biblico e in polvere tornerai. – chiosa a un certo punto Adorno – Come al catechismo domandare: cosa significa io sono polvere? È consolante ricevere una risposta a questo quesito?” E ancora: “La critica a Beckett conduce alla frase: tutto ciò è proprio terribile, non può essere. Risposta: è terribile.”)
Chiude il volume la riproposizione, in una traduzione rivista per l’occasione da Frasca, di alcune pagine della Teoria Estetica in cui Adorno affronta direttamente la questione beckettiana.
Adorno vuole proteggere l’autore irlandese da interpretazioni fuorvianti, salvandolo dall’etichetta di nichilista o esistenzialista.
Al termine della lettura emerge con chiarezza la passione che Theodor Adorno nutriva per l’opera di Samuel Beckett. Così come chiara appare l’intenzione del filosofo di proteggere l’autore irlandese da interpretazioni troppo facili e fuorvianti: salvarlo dall’etichetta di nichilista o di esistenzialista, né sartriano né kierkegaardiano. Una lettura, quella di Adorno, spesso con fughe in avanti e illuminazioni incompiute, ma ricca di visione e profondità.