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Respiro: una farsa in cinque atti

Natalia Antonioli, regista e docente di Regia all’Accademia di Belle Arti di Carrara, propone un’analisi di «Breath» provando a prendere per vera la paradossale definizione dello stesso Beckett.

di Natalia Antonioli

Una manciata di parole:


SIPARIO

Luce fioca sulla scena cosparsa di rifiuti eterogenei. Tenere circa 5 secondi.

Piccolo grido fioco e immediatamente inspirazione e insieme lento crescere della luce fino a raggiungere insieme il massimo in circa 10 secondi. Silenzio e tenere circa 5 secondi.

Espirazione e insieme lento decrescere della luce fino a raggiungere il minimo (luce come al n.1) in circa 10 secondi e immediatamente il grido come prima. Silenzio e tenere circa 5 secondi.

SIPARIO1


Un testo brevissimo per uno spettacolo altrettanto breve che comprime in 35 secondi una visione disincantata della vita, di fronte alla quale la parola pronunciata abbandona la propria funzione narrante, consapevole della sua inefficacia nell’esprimere l’inesprimibile.

A proposito di Respiro Paolo Bertinetti ricorda: “[…] l’autore stesso, in occasione della pubblicazione della versione francese (Souffle, in «Cahiers du Chemin», n. 12, aprile 1971), trattò con divertita autoironia [Respiro], definendolo «una farsa in cinque atti»”2

Forse si tratta di un depistaggio volutamente e scherzosamente dichiarato, ma forse no. A guardare bene, in realtà, i cinque atti ci sarebbero. La struttura potrebbe essere la seguente:

Atto ILuce fioca sulla scena cosparsa di rifiuti eterogenei.Durata 5 secondi
Atto IIPiccolo grido fioco e immediatamente inspirazione e insieme lento crescere della luce fino a raggiungere insieme il massimo.Durata 10 secondi
Atto IIISilenzio.Durata 5 secondi
Atto IVEspirazione e insieme lento decrescere della luce fino a raggiungere il minimo e immediatamente il grido come prima.Durata 10 secondi
Atto VSilenzioDurata 5 secondi

Cinque atti, dunque, di cui tre (I, III, V) in stasi e due (II e IV) in movimento. Il secondo e il quarto atto prevedono due movimenti diversi: nel secondo la luce cresce mentre nel quarto la luce decresce. Sempre
nel secondo e nel quarto atto è indicata la presenza di suono e anche il suono, come la luce, si muove in direzione opposta nei due atti: il secondo inizia con un grido da cui immediatamente nasce l’inspirazione mentre il quarto inizia con l’espirazione, immediatamente dopo la quale è possibile ascoltare un grido identico al primo.

I tre atti in stasi, al contrario, sono tutti caratterizzati dal silenzio. Di questi tre atti il primo e il quinto prevedono la medesima luce fioca3, mentre il terzo si differenzia dagli altri due per un livello di luce tenuto al massimo (intendendo per massimo un grado di luce che comunque non deve risultare «mai intensa»4, come richiesto da Beckett nelle note al testo).

Cinque atti tutti diversi tra loro tranne il primo e l’ultimo che devono necessariamente essere identici perché l’identità tra la nascita e la morte, più volte raccontata da Beckett, possa essere efficacemente rappresentata (esigenza ulteriormente ribadita dalla richiesta in nota dell’autore: «Importante che i due gridi siano identici […]»5). La posizione dei due gridi, collocati uno immediatamente precedente all’inspirazione e l’altro immediatamente successivo all’espirazione, riproduce un chiasmo, tutto giocato tra secondo e quarto atto6.

E poi c’è il sipario: all’inizio e alla fine. Non si indicano passaggi, prima dal buio alla luce e poi dalla luce al buio7. Quando si apre il sipario la luce, anche se fioca, è già presente in scena. Si ha la sensazione che la luce non sia chiamata ad illuminare lo spazio ma piuttosto ad agire in quello spazio: ad assumere, cioè, la funzione di attore. E il suo movimento esibisce una perfetta sincronia con il suono che diventa, in questa particolare situazione, un secondo attore. Il teatro di Beckett è popolato da coppie di personaggi ed anche in questo breve lavoro, che pur non prevede attori umani, si può scorgere una nuova coppia formata da luce e suono. Beckett insiste per tre volte nel testo sul fatto che luce e respiro debbano lavorare «insieme», e nelle note al testo ancora8 parla di «[…] luce e respiro esattamente sincronizzati»9.

Si apre il sipario e la commedia umana ha inizio: luce e suono si muovono nello spazio scenico interpretando la farsa della vita, materializzata nei suoi scarti.

E poiché in Beckett la vita tende alla fine quasi sempre senza raggiungerla, la luce ormai fioca resta comunque accesa mentre il sipario si chiude.

Note

  1. Samuel Beckett, Respiro, in Id., Teatro completo, a cura di Paolo Bertinetti, Einaudi-Gallimard, Torino 1994, p. 427. Pur facendo riferimento alla traduzione italiana di Floriana Bossi, si è provveduto a consultare costantemente il testo inglese: Samuel Beckett, Breath, in Id., The complete dramatic works, faber and faber, London 2006, p. 371. ↩︎
  2. S. Beckett, Teatro completo, cit., p. 882. ↩︎
  3. Riferendosi alla fase finale che segue l’espirazione, Beckett scrive nel testo: «[…] luce come al n.1 […]»
    (ivi, p. 427). ↩︎
  4. ibid. ↩︎
  5. ibid. ↩︎
  6. Un riferimento alla «struttura chiasmatica» si trova già in Annamaria Cascetta, Il tragico e l’umorismo.
    Studio sulla drammaturgia di Samuel Beckett
    , Le Lettere, Firenze 2000, p. 196. ↩︎
  7. La nota relativa alla luce, scritta di seguito al testo, precisa: «Se 0 = buio e 10 = massimo di luminosità, la luce dovrebbe crescere da 3 a 6 e tornare a 3» (S. Beckett, Teatro completo, cit., p. 427). ↩︎
  8. ibid. ↩︎
  9. ibid. ↩︎

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