«Dance First»: il Beckett sentimentale di Marsh
Nel biopic che arriva oggi nelle sale italiane, il regista sceglie di concentrarsi sul triangolo Sam-Suzanne-Barbara mettendo in scena il lato più personale e intimo dell'autore di «Aspettando Godot»

Non è un caso che l’unica opera di Beckett che appare in Dance First (il biopic firmato da James Marsh e dedicato allo scrittore irlandese, da oggi nelle sale italiane, con il titolo Prima danza, poi pensa – Alla ricerca di Beckett) sia Commedia, ovvero la pièce teatrale attraverso cui l’autore ha raccontato, in modo neanche troppo velato, il triangolo amoroso tra lui, sua moglie Suzanne e Barbara Bray. Il regista del film James Marsh e lo sceneggiatore Neil Forsyth più che sulle opere si sono concentrati sulle donne che hanno costellato la vita di Beckett: dalla madre May, passando per la figlia di James Joyce, Lucia, sfortunato amore giovanile, e arrivando a sua moglie, Suzanne Dechevaux-Dumesnil, e a Barbara Bray che per decenni fu amante dello scrittore.
Non è quello della fedeltà storica l’approccio che Marsh e Forsyth adottano per il loro Beckett. Fin dalla prima scena (l’assegnazione del premio Nobel) il film scopre subito le sue carte: non un “documentario” sull’opera di Beckett come scrittore, ma il racconto di un artista alle prese con i suoi sensi di colpa, le sue debolezze, i suoi fantasmi. Beckett (interpretato dal bravo Gabriel Byrne) inizia fin da subito a dialogare con il suo doppio (sempre Byrne), sorta di grillo parlante ossessivo che incalza lo scrittore su un tema quanto mai pratico, ma foriero di un’introspezione che costituirà poi lo scheletro di tutta la narrazione: cosa fare dei soldi del premio Nobel appena ricevuto?

Beckett e il suo doppio hanno così la possibilità di ripercorrere le figure chiave incontrate nel corso della vita. I due Beckett contemporaneamente in scena (Marsh racconta che per Byrne, per via dell’impostazione classica della sua recitazione, non è stato semplice girare le scene in cui doveva dialogare con un green screen) ricordano le coppie “gemelle” protagoniste di tante opere beckettiane, da Vladimiro e Estragone (Aspettando Godot), a Mercier e Camier dell’omonimo romanzo fino ai due personaggi indistinguibili di Improvviso dell’Ohio. Il film procede per quadri separati tra loro in modo piuttosto netto, soprattutto per quanto riguarda le prime fasi (in cui il giovane Beckett è impersonato da Fionn O’Shea). È qui che, dopo aver “risolto” la figura della madre, Beckett si impelaga nella difficile relazione sentimentale con Lucia Joyce (Gráinne Good, molto brava). Quando Beckett scopre la malattia mentale della giovane la relazione tra i due si rompe e di conseguenza anche il rapporto allievo-maestro con James Joyce (Aidan Gillen).
«E così sei uno scrittore?»
(Lucia Joyce a Samuel Beckett in «Dance First» di James Marsh, 2023)
«Come fai a dirlo?»
«Sei a Parigi e non sai ballare.»
All’ingresso in scena delle due protagoniste femminili (Suzanne/Sandrine Bonnaire e Barbara Bray/Maxine Peake) il film dà il meglio di sé. La scena più riuscita è quella che si consuma nel foyer del teatro dopo la prima di Commedia, appunto. È qui che Suzanne e Barbara si incontrano di persona per la prima volta sotto lo sguardo imbarazzato di Beckett. Da qui in poi si delinea in modo sempre più compiuto il ritratto di un Beckett esitante (di nuovo: come molti suoi personaggi), incapace di risolversi tra l’una e l’altra donna e portando avanti l’inevitabile ménage à trois per tutta la vita, con la sofferta rassegnazione di entrambe.

Nel finale, il Beckett giunto ormai al termine della vita dialoga per l’ultima volta con la sua coscienza. Vedendo un Beckett sulla sedia a rotelle e l’altro accanto in piedi è impossibile non pensare a Hamm e Clov in Finale di partita. Diventa dunque chiaro l’approccio intimo con il quale Marsh si è messo dietro la macchina da presa per raccontare la vita del protagonista. Dance First (il titolo, lo ricordiamo, è tratto da una battuta di Aspettando Godot, anche se nel film gli viene assegnata un’altra paternità) è un biopic in cui al resoconto della carriera dello scrittore viene preferito il racconto della vita dell’uomo. Coraggiosa e apprezzabile la scelta di Marsh di escludere dalla pellicola i momenti che sarebbero stati più facili da raccontare: la febbrile stesura dei romanzi degli anni ’40, il clamoroso successo di Aspettando Godot, la scrittura dei successivi capolavori a Ussy-sur-Marne. Si può dire che nel film di Marsh non c’è neanche una scena in cui si veda Beckett scrivere… I dialoghi sono asciutti e precisi, la regia è sempre misurata. Nonostante – o forse proprio grazie a – questa economia formale i personaggi vengono fuori in modo netto ed equilibrato (con Suzanne una spanna sopra gli altri). Tutto è giocato sulle relazioni personali e Dance first, alla fine, è un film che può emozionare anche chi Beckett non lo conosce. E questo, forse, è il miglior complimento che gli si può fare.
