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Su «Beckett: un canone» di Ruby Cohn

Sull'ultimo numero del bimestrale "L'immaginazione" di Manni Editore (maggio/giugno 2024 n. 341) è apparsa la mia recensione del saggio «Beckett: un canone» di Ruby Cohn, pubblicato Cue Press e a cura di Enzo Mansueto. La riporto integralmente qui.

Appena trentenne, Ruby Cohn – dottoranda statunitense alla Sorbona – ebbe la fortuna di assistere alla prima di En attendant Godot di Samuel Beckett al Théatre de Babylone di Parigi. Era il 1953 e quella leggendaria messinscena segnò la sua carriera di studiosa. Cohn decise di dedicare gran parte della sua ricerca sull’opera di Beckett, la cui statura nell’orizzonte culturale del tempo diventava anno dopo anno più imponente fino al culmine dell’assegnazione del Nobel nel 1969.

Nel corso della sua vita Cohn (nata a Columbus, in Ohio, nel 1922 e morta nel 2011) dedicò al lavoro di Samuel Beckett diversi saggi, tra cui The comic gamut (1962), Back to Beckett (1974) e Just Play (1980). Non solo per questo, Cohn può essere considerata la fondatrice degli studi beckettiani in lingua anglosassone. Sorprende dunque (o forse no, purtroppo) che nessuno dei suoi testi fosse ancora stato tradotto in italiano. Ci ha pensato la meritoria casa editrice Cue Press che a partire dalla fine del 2023 portato per la prima volta in Italia alcuni importanti saggi critici dedicati a Samuel Beckett, insieme alla ri-edizione dell’unica biografia autorizzata dello scrittore (Condannato alla fama di James Knowlson, a cura di Gabriele Frasca, Cue Press, 2024 – pubblicata per la prima volta nel nostro paese da Einaudi, ma ormai fuori catalogo da alcuni anni).

Tra i saggi beckettiani che arrivano finalmente in libreria c’è anche Beckett: un canone (Cue Press, 2024 – Traduzione e cura di Enzo Mansueto), forse il più esaustivo degli studi di Cohn dedicati all’artista irlandese. L’articolo indeterminativo del titolo (“Un canone”) indica un approccio preciso: Cohn rivendica la volontà di tenersi alla larga da un’analisi monolitica delle opere di Beckett preferendo invece ipotesi, suggerimenti, tentativi di interpretazione. Un metodo che potrebbe apparire vago e che invece si sposa alla perfezione alla produzione beckettiana.

Come ha infatti dichiarato il traduttore e curatore del volume Enzo Mansueto in una recente intervista, Beckett: un canone di Ruby Cohn invita il lettore “a comporre da sé un proprio canone, inteso come provvisoria assegnazione di valore ai singoli testi dell’opera omnia, anche in relazione a mutati contesti artistico-culturali. Quegli straordinari congegni semiotici che sono le opere di Beckett si prestano magnificamente a questa operazione: inossidabili, sorprendenti a ogni rilettura, proprio perché geneticamente instabili, mai davvero compiuti, o forse mai del tutto nati. Come, traumaticamente, ciascuno di noi.”

Pur nella sua puntuale organizzazione cronologica dell’intera produzione beckettiana, con accurate schede dedicate alle singole opere (e un’evidente preferenza per narrativa e teatro rispetto alla poesia), Beckett: un canone di Ruby Cohn resta comunque un saggio dall’approccio decisamente “americano”, più divulgativo che normativo. E poi c’è un altro livello di lettura che rende prezioso questo testo: quello dell’amicizia personale tra Beckett e Cohn, la quale – nel corso della sua vita – non si limitò a studiare Beckett, ma ne divenne anche confidente. Senza la sua intercessione, ad esempio, non avremmo avuto i Disiecta e la versione inglese di Qual è la parola. Con dissimulata naturalezza, Cohn lascia cadere spesso aneddoti personali tra le righe della sua prosa critica.

In Italia stiamo assistendo a una benvenuta rinascita di interesse per l’opera di Samuel Beckett. Beckett: un canone di Ruby Cohn, insieme agli altri testi editi da Cue Press (tra cui Capire Samuel Beckett di Alan Astro, a cura di Tommaso Gennaro e la riedizione della già citata biografia di Knowlson) costituiscono un ottimo vademecum con cui accompagnare la lettura delle opere di questo autore, ora finalmente disponibili in una nuova edizione nel Meridiano Mondadori curato magistralmente da Gabriele Frasca.

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