Un Godot napoletano
L'editore Cronopio propone la prima traduzione nell'idioma partenopeo, firmata da Arturo Martone, della più celebre opera di Beckett.

Beckett e i dialetti italiani. Il primo riferimento che viene in mente è quello a U jocu sta finiscennu della Compagnia Krypton di Giancarlo Cauteruccio, trasposizione in Calabrese di Finale di partita che conservava intatta la potenza del testo originale (trasposizione di cui, va detto, è difficilissimo trovare tracce in rete, ma di cui furono trasmessi alcuni stralci nello speciale “Samuel Beckett: ciò che resta” di Francesca Magini trasmesso dalla RAI nel 2006). E ancora: il recente Aspettando Godot in dialetto bresciano (Che fom? Spotom! trasposto da Faustino Ghirardini) o un Giorni Felici in napoletano che diventa Felicissima jurnata nella drammaturgia di Emanuele D’Errico.
Ecco, è proprio il napoletano (al quale ci riferiamo qui semplicisticamente usando il termine “dialetto”) a essere al centro di Quann’uno aspett’a Dodò di Arturo Martone (Cronopio, 2024), traduzione in napoletano, appunto, della più nota opera di Samuel Beckett.
Martone – docente di discipline filosofiche, tra cui filosofia del linguaggio, in diversi atenei di Napoli – parte dalla celebre tragicommedia per mettere in luce «i processi linguistici che governano una lingua non scritta come il Napoletano». La difficoltà della sfida sta nella natura «ostinatamente orale» di questo idioma che lo rende per forza di cose «inaffidabile o impreciso, e dunque non scrivibile».
DIDÌ: Ma Dodò tèn’a bbarba?
GUAGLIONE: Precisamente
DIDÌ: A tène bbionda (esitando)… o nera, o ammagáre rossa?
GUAGLIONE: (esitando) Me pare ca è ianca, Signó. (Silenzio).
DIDÌ: Uh Ggiesù! (Silenzio).
GUAGLIONE: Che ll’aggia dicere a chillu signore, Signó?
DIDÌ: Ll’iá dicere… (s’interrompe)… ca tu m’haie visto e ca… (Riflettendo) ca m’haie visto. (Pausa. Didì avanza, il ragazzo indietreggia, Didì si ferma, il ragazzo si ferma) Tu sì ssicuro ca mo m’haie visto, è o ver’o o no? Nunn è ca dimane tuórne a vvení pe me dicere ca nun m’haie visto?(un frammento della traduzione di “Aspettando Godot” in napoletano di Arturo Martone)
Quella di Martone è verosimilmente la prima e unica edizione in napoletano di Aspettando Godot. Ma l’autore ricorda giustamente, nella ricca nota editoriale, alcune messinscene integralmente o parzialmente in napoletano che si sono succedute in questi ultimi anni, tra cui quella recitata con cadenza partenopea nel 2022 per la regia firmata da Massimo Andrei e Lello Arena.
L’approccio di Martone è scientifico. Con un gioco di parole possiamo dire che Aspettando Godot è qui più un pretesto che un testo. Quann’uno aspett’a Dodò usa la pièce di Beckett come base per compiere una ricerca sui processi linguistici dell’idioma napoletano. E da questo punto di vista il lavoro di Martone è inappuntabile, grazie alla completezza nell’esposizione dei criteri adottati per la traduzione e alle meticolose appendici grammaticali.
«Aspettando Godot, che è stato fra i testi più messi in scena dalla sua pubblicazione a oggi, può essere letto e compreso anche indipendentemente dalla sua performance attoriale», sostiene Martone nella nota al testo. Solo un’eventuale prova della scena potrà però permettere un giudizio compiuto su questa traduzione.