Film
Titolo originale: Film Data di composizione: 5 aprile – 22 maggio 1963 Prima proiezione: New York Film Festival, estate 1965 Prima edizione: Faber & Faber, Londra, 1967 Edizioni italiane: Einaudi, 1985 – Einaudi/Gallimard, 1994 – Einaudi, 2002 – Mondadori, 2023
L’incontro tra Beckett e il cinema avvenne una sola volta. Anche un esegeta alle prime armi comprenderebbe che questa singolarità, questa una tantum, questo cimento senza ripetizione, esprime l’incompatibilità di due mondi: quello della poetica beckettiana e quello dell’industria cinematografica. Non stiamo parlando del cinema “fruito” (Beckett – in particolar modo da giovane, ma anche in età matura – fu uno spettatore appassionato e fin troppe volte sono state ricordate le influenze dei comici americani degli anni ’30 da Laurel & Hardy allo stesso Keaton nella produzione dell’autore), stiamo parlando del cinema “creato”: Beckett, che era riuscito a piegare alla sua sensibilità forme d’arte millenarie quali il teatro e la poesia, getta la spugna con la macchina da presa fin dalla prima prova.
Per amore dei fatti va ricordato che nel 1936 – ancora incerto riguardo alle scelte decisive della sua carriera d’artista – Beckett aveva pensato di darsi al cinema e aveva scritto al celebre regista russo Eisenstein per farsi assumere come assistente. Purtroppo (o per fortuna…) Eisenstein non lesse mai quella lettera. Passeranno trent’anni prima che a Beckett si ripresenti la possibilità di esprimersi attraverso il cinema, quando la Grove Press di New York decide di realizzare il cosiddetto Project I, una trilogia di sceneggiature cinematografiche affidate a tre protagonisti del cosiddetto teatro dell’assurdo: Ionesco, Pinter e – appunto – Beckett. Per una serie di circostanze sarà il solo Beckett a mantenere fede all’impegno con la Grove Press realizzando Film.
La sceneggiatura fu scritta in brevissimo tempo nella primavera del 1963. Fin dalle prime stesure appare l’idea filosofica che Beckett sceglie come guida per la narrazione: esse est percipi (“essere è essere percepiti”), uno dei principi dell’empirismo di George Berkeley. Beckett avverte fin dalle prime note di stesura che tale riferimento non deve essere la morale dell’opera bensì una semplice trovata drammaturgica. La trama infatti è costituita dai tentativi vani del protagonista di sfuggire al personaggio che sta tentando di osservarlo, di percepirlo. Il film – della durata totale di circa 22 minuti e composto da tre sequenze prive di dialoghi – si apre mostrando Og (tale è la sigla che identifica il protagonista, il “percepito”) che tenta di sottrarsi allo sguardo di Oc (l’altro personaggio, il “percipiente”) camminando velocemente lungo una strada dritta, senza traverse, in un mattino d’estate. La seconda sequenza si svolge nel pianerottolo del palazzo in cui abita Og. La scena finale, la più lunga delle tre, ha luogo nella stanza di Og. Qui Og tenta di rimuovere dalla stanza qualunque oggetto (come lo specchio ad esempio) o qualunque forma di vita (il gatto e il cane che riuscirà a cacciare via con estrema difficoltà dando vita all’unica gag del film) che in qualche modo possa percepirlo. Ma alla fine scoprirà con terrore che Oc è riuscito ad entrare nella stanza e che lo sta osservando. Il colpo di scena (se così lo vogliamo chiamare) è dato dal fatto che Oc è Og. Percepito e percipiente sono dunque la stessa persona.
La semi-cecità di Og potrebbe essere interpretata come la cecità caratteristica dei miti che hanno visto le ‘cose come sono’ (Tiresia, Edipo… ma anche Hamm, Pozzo o Dan Rooney) […] Og ha compreso come stanno le cose, ha iniziato ad accusare il dolore di essere percepito e si è fatto cupo.
Sandro Montalto, “Beckett e Keaton. Il comico e l’angoscia di esistere”
A proposito della benda che copre l’occhio sinistro di Oc e di Og, Sandro Montalto, nel suo saggio, nota: “La semi-cecità di Og potrebbe essere interpretata come la cecità caratteristica dei miti che hanno visto le ‘cose come sono’ (Tiresia, Edipo… ma anche Hamm, Pozzo o Dan Rooney), ed ecco che si spiegherebbe come mai nella settima fotografia di Og egli sia improvvisamente bendato e cupo, laddove nelle precedenti egli era senza fastidio percepito e sorridente. Og ha compreso come stanno le cose, ha iniziaito ad accusare il dolore di essere percepito e si è fatto cupo“.
Beckett era estremamente affascinato dall’idea di “fare cinema”. Prima che iniziassero le riprese era infatti convinto che il cinema gli avrebbe garantito quel controllo totale sul prodotto finito (quello che va bene si monta, quello che è venuto male si taglia, immortalando l’esecuzione ideale) che il teatro – con il suo rinnovarsi ad ogni imprevedibile replica – non gli poteva garantire. I fatti lo smentiranno.
Il produttore che finanziò coraggiosamente questo oscuro progetto filmico fu l’editore americano di Beckett: Barney Rosset. Come regista fu scelto un regista teatrale già “collaudato” da Beckett: Alan Schneider. Il primo problema riguardò le location: il film doveva essere girato a New York e Beckett non aveva nessuna voglia di recarsi negli Stati Uniti che lui identificava con un luogo chiassoso e dispersivo e con una serie di inutili e frivoli cocktail party. Ma alla fine dovette rassegnarsi e trasvolò l’Atlantico il 10 luglio del 1964. Il secondo problema fu il protagonista: inizialmente si era pensato di scegliere un beckettiano navigato come Jack MacGowran ma il compatriota dovette rinunciare a malincuore perché precettato da un’altra produzione. Beckett decise allora di tentare il colpaccio e disse che voleva Buster Keaton per la parte del protagonista.
Quello tra Beckett e Keaton fu l’incontro tra due giganti del silenzio. Beckett non sapeva assolutamente cosa dire a quel mostro sacro del cinema americano. Keaton confessò fin da subito che per lui quel copione non aveva senso e che dubitava fosse possibile tirarne fuori più di tre o quattro minuti di girato.
Keaton era uno degli attori preferiti di Beckett il quale da giovane aveva visto quasi tutti i suoi film. Dopo qualche difficoltà iniziale Keaton accettò la parte. L’incontro tra Beckett e Keaton è descritto magistralmente da Alan Schneider nel suo On directing “Film” (pubblicato in Italia in Einaudi/Gallimard 1994). Fu un dialogo tra muti, l’incontro tra due giganti del silenzio. Beckett non sapeva assolutamente cosa dire a quel mostro sacro del cinema americano, Keaton confessò fin da subito che per lui quel copione non aveva senso e che dubitava che fosse possibile tirare fuori più di tre o quattro minuti di girato. Ma da grandissimo professionista quale era si mise al lavoro senza protestare, fu il più paziente del cast e pose le sue capacità di attore nelle mani di Beckett e Schneider.
Il 20 luglio iniziarono le riprese. Schneider, regista teatrale che per la prima volta si cimentava con il cinema, era comprensibilmente teso. La prima giornata di riprese fu un disastro. La prima sequenza prevedeva una serie di incontri tra Og e alcuni passanti. Quando arrivarono i “giornalieri” fu una doccia fredda per tutti: le scene di gruppo erano praticamente inutilizzabili (tranne quella dell’incontro di Og con una coppia). Il budget non permetteva che si rigirasse l’intera sequenza e così fu Beckett a prendere la decisione più drastica: eliminarla. Per questo motivo la versione definitiva di Film inizia con il primissimo piano dell’occhio di Oc e poi si passa quasi subito alla fuga di Buster Keaton lungo il muro.
Le riprese seguenti, tutte girate in interni, diedero meno problemi. Nel frattempo Buster Keaton iniziò ad appassionarsi alla parte mentre Beckett, appena visto il primo montaggio provvisorio del film, fece rotta verso l’Europa con un sospiro di sollievo. Tornò in Francia con due convinzioni: gli Stati Uniti non facevano per lui (“in qualche modo questo non è il paese giusto per me: la gente è troppo strana“) e il cinema era un aggeggio maledettamente complicato che non garantiva quel controllo totale da lui sperato.
Beckett tornò in Francia con due convinzioni: gli USA non facevano per lui e il cinema era un aggeggio maledettamente complicato che non garantiva quel controllo totale da lui sperato.
Film incontrò inizialmente diversi problemi di distribuzione. Nessuno aveva voglia di rischiare con una pellicola in cui l’unica caratteristica di richiamo (la mitica faccia di Buster Keaton) veniva tenuta nascosta per quasi tutto il tempo. Keaton infatti è sempre ripreso di spalle o di tre quarti (è la soggettiva di Oc quella che si vede) e solo nella ripresa finale appare un primo piano. Nel 1965, tuttavia, il New York Film Festival propose una retrospettiva dedicata a Buster Keaton e uno dei curatori decise di proiettare anche Film. Fu un errore. Il pubblico della retrospettiva era costituito da fans di Keaton, chiaramente, non di Beckett. E il vedere il loro beniamino ridotto a burattino di una cervellotica sceneggiatura li spinse ad abbandonare la sala e a fischiare. Le cose andarono meglio, lo stesso anno, al Festival di Venezia dove Film ricevette un diploma di merito. Nel 1966 Film ricevette premi e diplomi di merito in quasi tutti i festival cinematografici cui partecipò.