Da un’opera abbandonata
Titolo originale: From an abandoned work Data di composizione: 1955 Prima edizione: Faber & Faber, Londra, 1958 Edizioni italiane: Einaudi, 1969 – SE, 2003 – Einaudi, 2010
Pur essendo un testo minore (e per di più incompiuto) Da un’opera abbandonata presenta comunque, nell’ambito dell’opera beckettiana, alcuni spunti interessanti.
Fu composto da Beckett, in inglese, nell’estate del 1955 contemporaneamente alla stesura di Finale di partita e dopo la faticosa realizzazione dei romanzi Molloy, Malone muore e L’innominabile). Da un’opera abbandonata, dunque, segna al tempo stesso il ritorno alla lingua madre dopo anni di utilizzo del francese e il tentativo di produrre una nuova opera in prosa nonostante l’ispirazione fosse stata quasi del tutto assorbita dalla trilogia romanzesca.
Non sarà dunque un caso se il numero tre è alla base anche di questo breve testo. Da un’opera abbandonata si svolge infatti nell’arco di tre giorni, più precisamente tre giorni nella vita dell’io narrante che in vecchiaia ricorda alcuni istanti della sua gioventù. Nel primo giorno è descritto l’incontro del protagonista con un cavallo bianco, nel secondo giorno l’assalto da parte di un branco di ermellini e nel terzo giorno l’incontro con un cantoniere.
Il bianco devo dire mi ha sempre fatto una grande impressione, tutte le cose bianche, lenzuola, pareti e così via, anche i fiori, ma solo il bianco, il pensiero del bianco e nulla più.
Samuel Beckett, «Da un’opera abbandonata»
Per quanto riguarda le presunte analogie tra questo testo e i precedenti Molloy, Malone muore e L’innominabile, Deirdre Bair, nella sua biografia, nota che “sebbene si riscontrino in questo brano alcuni temi fondamentali della trilogia, la differenza tra quest’opera e le tre precedenti è comunque enorme […] costituisce essenzialmente il tentativo intellettuale di dare ai suoi più intimi problemi una forma narrativa più accessibile al pubblico. Si avverte in quest’opera un senso di levità e di ardore che le altre non hanno“.
Da parte mia mi sembrano opportune due considerazioni. La prima riguarda il colore bianco che costituisce una sorta di tema ricorrente in tutta l’opera di Beckett (e maggiormente nelle ultime opere). In Da un’opera abbandonata Beckett dichiara due volte in modo esplicito il suo interesse verso questo elemento. Dapprima al momento dell’incontro con il cavallo: “Il bianco devo dire mi ha sempre fatto una grande impressione, tutte le cose bianche, lenzuola, pareti e così via, anche i fiori, ma solo il bianco, il pensiero del bianco e nulla più” e poi nella scena dell’assalto degli ermellini: “Qualsiasi altro sarebbe stato morso, avrebbe sanguinato a morte, sarebbe stato succhiato fino a diventar bianco come un coniglio, ecco ancora la parola bianco“.
Se fosse la fine non mi importerebbe più di tanto, ma come ho spesso detto, nella mia vita, di fronte a qualche nuovo guaio, è la fine, e non era la fine, eppure la fine non deve essere molto lontana ora.
Samuel Beckett, «Da un lavoro abbandonato»
La seconda considerazione riguarda invece Finale di partita che, come già detto, viene composto da Beckett contemporaneamente a Da un’opera abbandonata. Ebbene, in due passaggi di questa prosa breve sembra quasi di sentire parlare Hamm, il protagonista dell’opera teatrale: “Se fosse la fine non mi importerebbe più di tanto, ma come ho spesso detto, nella mia vita, di fronte a qualche nuovo guaio, è la fine, e non era la fine, eppure la fine non deve essere molto lontana ora” e “Finito, finito, c’è un tenero angolo nel mio cuore per tutto quello che è finito, no, per l’essere finito, mi piace la parola“.
Editorialmente, Da un’opera abbandonata ebbe sorti tormentate. Dapprima fu pubblicato sul numero di giugno 1956 del «Trinity News» scatenando le ire di Beckett per gli eccessivi ritocchi redazionali (variazioni nella punteggiatura e negli a capo). Nel 1958 uscì la versione originale e approvata dall’autore per la Faber & Faber. L’edizione francese verrà tradotta da Beckett in collaborazione con Ludovic e Agnes Janvier, nel 1967.