Immaginazione morta immaginate

Titolo originale: Imagination morte imaginez
Data di composizione: 1965
Prima edizione: Les Editions de Minuit, Parigi, 1965
Edizioni italiane: Einaudi, 1969Einaudi, 2010

Per la presenza di dettagli geometrici e per il tono prevalentemente descrittivo della prosa, Immaginazione morta immaginate può entrare in quel gruppo di prose brevi cui fanno parte anche Bing, Lo spopolatore e Quello che è strano, via. (Knowlson la accredita esplicitamente come variante sviluppata a partire da uno dei temi di quest’ultima opera).

Ancora una volta, infatti, ci troviamo di fronte a una descrizione condotta in modo asettico di una situazione ambientale estrema in cui vengono calati i personaggi che animano (se così si può dire…) la narrazione. Ma questa volta Beckett enuncia esplicitamente fin dall’incipit (e addirittura fin dal titolo) l’idea che sta alla base di questa e delle altre prose citate prima: “Da ogni parte non una traccia di vita, voi dite, bah, e con questo, immaginazione mai morta, ma sì, appunto, immaginazione morta immaginate“.

Ecco dunque il patto che l’autore stringe con il suo lettore. Partire dal presupposto che l’immaginazione è morta, che la vena creativa è esaurita e dunque non resta altro che uno spazio indefinito e bianco. Beckett ha sempre corteggiato l’idea della fine della letteratura, della parola che si stempera nel silenzio e, al pari di certi astrofisici che dedicano la loro vita a studiare ciò che accade negli angoli più remoti del nostro universo anziché osservare i pianeti più vicini a noi, ha sempre cercato di studiare cosa può succedere in questa zona estrema della letteratura.

Pianta del pavimento della rotonda e posizione dei corpi su di esso. La posizione dei due corpi è ispirata ai dannati del canto XX dell’Inferno (girone dei fraudolenti): schiena a schiena ma con il viso rivolto alle proprie spalle cosicché “‘l pianto delli occhi le natiche bagnava“

Nella fattispecie l’unico elemento che il narratore – la cui immaginazione è dichiaratamente morta – riesce a ipotizzare è una rotonda a base circolare (con un diametro di 80 centimetri) e alta 80 centimentri di cui 40 costituiti dal muro circolare che sorregge la volta. Il tutto, ovviamente, bianco. All’interno della rotonda sono adagiati due corpi (totalmente bianchi, come il corpo descritto in Bing). La posizione dei due corpi è ispirata ai dannati del canto XX dell’Inferno (girone dei fraudolenti): schiena a schiena ma con il viso rivolto alle proprie spalle cosicché “‘l pianto delli occhi le natiche bagnava“. Il resto della prosa (un unico paragrafo di circa cinque pagine) è formato dalla descrizione delle cicliche variazioni di luce e temperatura all’interno della rotonda (elementi che verrano rielaborati anche per Lo spopolatore) e dei corpi. Questi non compiono movimenti eccezion fatta per l’apertura casuale dell’occhio sinistro (ma “mai i due sguardi insieme” ci tiene a sottolineare Beckett, quasi a volerli condannare ad una ulteriore solitudine) che resta sbarrato per un tempo che supera le normali possibilità umane fino a poi richiudersi. Le pupille sono di un colore azzurro pallido ma in confronto al biancore del luogo e dei corpi questa tonalità è di “un effetto impressionante“.

La rotonda vista dall’esterno (non c’è entrata).

Oltre ad essere un’opera di grande forza suggestiva, Immaginazione morta immaginate presenta un ulteriore notevole pregio: a differenza di altre opere estreme di Beckett (quali ad esempio Senza o Peggio tutta) qui la punteggiatura e la sintassi della frasi è regolare (nessuno sperimentalismo quale ad esempio l’assenza di virgole o verbi) e il lettore non fatica a visualizzare nella propria mentre l’insuperabile desolazione di quanto immaginato dall’autore.

Un frammento del manoscritto di “Immaginazione morta immaginate”.

La stesura di Immaginazione morta immaginate impegnò Beckett per circa tre mesi, dal gennaio a marzo del 1965. Juliet ne registra otto versioni, di cui l’ultima più breve della prima. Nel frattempo l’autore stava lavorando, con più agevolezza, ad un brevissimo dramma teatrale, Va’ e vieni, che Beckett aveva promesso a John Calder per l’apertura di un nuovo teatro a Soho.

Pulsante per tornare all'inizio