La fine

Titolo originale: La fin
Data di composizione: 1946
Prima edizione: Les Editions de Minuit, Parigi, 1955
Edizioni italiane: Einaudi, 1979Einaudi, 2010

Nell’opera di Beckett, il racconto La fine ha un’importanza più storica che letteraria: si tratta infatti della prima prova narrativa di Samuel Beckett in francese. Se mi si concede il gioco di parole, La fine è l’inizio della vera poetica di Beckett. Da qui parte la strada dei capolavori: la trilogia dei romanzi (MolloyMalone muoreL’innominabile) e il grande teatro (Aspettando GodotFinale di PartitaGiorni Felici).

Per Beckett, il francese era la lingua perfetta perché la sua particolare retorica corre continuamente verso l’astrazione. Esattamente ciò di cui Beckett aveva bisogno per rompere con il romanzo tradizionale e spostarsi verso monologhi privi di trama e luogo.

A. Alvarez, «Beckett»

La scelta di scrivere in una lingua non propria è stata interpretata con sfumature diverse dai vari critici, ma tutti concordano nell’affermare che passare dalla scrittura in inglese alla scrittura in francese significava bruciarsi i ponti alle spalle, lanciarsi nel vuoto. Qualcosa tra il coraggio e l’incoscienza, insomma. Significava uscire dall’ombra di Joyce, innanzitutto, ma significava anche uscire dall’ombra della madre, dalla retorica irlandese. Beckett, osserva Alvarez, “aveva bisogno di un mezzo, al tempo stesso più neutrale e più preciso. A questo scopo, il francese era lo strumento perfetto perché è una lingua che non si presta facilmente ai giochi di parole; la sua particolare retorica corre continuamente verso l’astrazione. Questo era esattamente ciò di cui Beckett aveva bisogno mentre tentava di rompere con il romanzo tradizionale, e si spostava verso quei monologhi, privi di trama, privi di luogo, pronunciati con un tono monotono in una qualche terra di nessuno dello spirito“. La cesura con la vecchia lingua sarà netta come una riga tracciata di traverso su una pagina.

Nel febbraio del 1946, Beckett inizia a scrivere in inglese un nuovo racconto: Suite. Arriva quasi a quota trenta pagine, poi si ferma. Tira una riga lungo la pagina e da lì in poi continua scrivere in francese, portando a termine il racconto. Riscrive allora tutto in francese e decide di inviare questa sua fatica a Les Temps Modernes, la rivista fondata da Jean Paul Sartre. Effettivamente la prima parte di Suite verrà pubblicata sul numero 10 dello storico periodico. La seconda parte non apparirà mai a causa di un contorto equivoco nato tra Beckett e Simone de Beauvoir che Knowlson cerca di ricostruire nel modo più chiaro possibile. Suite verrà poi intitolato La fin e pubblicato integralmente solo nel 1955.

La trama è piuttosto oscura. La narrazione inizia con la descrizione, condotta in prima persona, di un uomo che viene dimesso da un luogo non meglio precisato (un manicomio, un ospedale, un carcere?). Il protagonista cerca senza troppo successo un nuovo alloggio. Alla fine riesce a sistemarsi in uno scantinato, ma anche da qui viene mandato via. Trova rifugio presso un vecchio conoscente che abita in una caverna in riva al mare. Poi si trasferisce in una capanna sui monti fino a quando non decide di vivere di elemosina. Si sistema, infine, in una rimessa dove trova un vecchio canotto che usa come giaciglio. La notte, nel buio, sdraiato nel canotto, il protagonista immagina di prendere il mare e e lasciarsi trasportare dalle onde.

Nel testo viene citato il filosofo olandese Arnold Geulincx (1624-1669) che insieme a Malebranche, citato ne L’immagine, è uno dei pensatori che più hanno influenzato il Beckett del primo periodo.
Il testo vibra delle più tipiche atmosfere beckettiane: “Sapere di essere, per quanto debolmente e in modo fallace, al di fuori di me, un tempo mi aveva commosso. Si diventa selvaggi, per forza. A volte c’è da chiedersi se siamo sul pianeta giusto. Anche la parole ci abbandonano, figuriamoci“. Nella frase finale del racconto, “È giunto fievole e freddo il ricordo della storia che avrei potuto raccontare, una storia a immagine della mia vita, voglio dire senza il coraggio di terminare né la forza di andare avanti“, Bair scorge una prefigurazione degli scritti che seguiranno.

Pulsante per tornare all'inizio