Filastroccate

Titolo originale: Mirlitonnades Data di composizione: 1976 – 1978 Prima edizione: Editions de Minuit, 1978 Edizioni italiane: Einaudi, 1964 – Einaudi, 1999 – Einaudi, 2006 Indice della silloge: il peggio – rientrare – tutto sommato – in capo a quale torretta – silenzio così che ciò che fu – ascoltali – bagliori limiti – immagina se questo – dapprima – flusso causa – sabato riposo – ciascun giorno invidia – notte che tanto fai – niente nessuno – appena ben concluso – quello che hanno gli occhi – ciò c’ha di peggio – non perdetevi a Tangeri – ricorda un’altra panchina – non perdetevi a Stuttgart – vecchio andare – pazzi che dicevate – passi su passi – sogno – morto nel mezzo – donde – parole sopravviventi – oceani e rivi – a piè fermo – cacciò appena dall’eremo la testa – quando si sentì dire – giunta la notte che finalmente – ricordi non più – una notte la sua ombra – nera sorella – il nano nonagenario – un leprotto di chimere a secco.
Nel 1965 Beckett coniò il neologismo dramaticule per definire la sua breve pièce Va’ e vieni (neologismo che avrebbe poi contraddistinto, da allora, tutte le sue opere per il teatro). Circa dieci anni più tardi l’autore inventò un nuovo termine, stavolta per una parte della sua produzione poetica: le mirlitonnades, 37 brevissime poesie composte tra il 1976 e il 1978, sono, potremmo dire, versi che non valgono un piffero (mirliton in francese significa “zufolo” e l’espressione vers de mirliton indica appunto le poesie da quattro soldi). Contrariamente a quanto suggerirebbe il titolo, si tratta di invece di una delle migliori prove del Beckett poeta.
Per la brevità, le mirlitonnades (termine che in Italia è stato reso con Filastroccate) potrebbero essere assimilate agli haiku, pur non rispettando – a differenza di questi – particolari prescrizioni formali. Scritte in francese, sono forse – tra le composizioni in versi di Beckett – quelle che più spesso si abbandonano a una nera, “inglese”, ricerca umoristica (“giunta la notte che finalmente / l’anima gli si richiese / eccolo là che incontinente / in anticipo la rese” oppure “il nano nonagenario / in un sussurro estremo / sia la bara per lo meno / grande quanto l’ordinario“). Ma non mancano prove di tensione più alta, dove l’autore sembra quasi volere scrivere piccoli epitaffi filosofici (“silenzio così che ciò che fu / prima non sarà mai più / dal bisbiglio lacerato / d’una parola senza passato / per aver troppo detto non potendone più / giurando di non tacere più“).
Il dettato che agita queste rime è debitore, tra le altre cose, della forma «poetica» più pervasivamente diffusa nella nostra epoca, il claim pubblicitario, di cui, sia detto subito, queste filastroccate parrebbero essere il più disincantato contravveleno.
Gabriele Frasca
Knwolson ricorda che alcune mirlitonnades nacquero da esperienze precise: non perdetevi a Tangeri fu composta dopo la visita al cimitero del porto marocchino. La parallela non perdetevi a Stuttgart fu scritta mentre Beckett si trovava nella città tedesca per dirigere …Nuvole…. Curioso l’elenco dei supporti, riportato da Ackerley e Gontarski (The Grove Companion To Samuel Beckett, New York, 2004), su cui Beckett scrisse gli originali delle mirlitonnades ora con inchiostro nero, ora con matite, ora con pennarelli rossi: cartoncini, fogli colorati di bloc-notes, pagine di diario, il retro della carta da lettere, pacchetti di sigarette, un sottobicchiere, l’etichetta di una bottiglia di Johnny Walker, i fogli di un quaderno a quadretti, un orario dei treni e una busta per posta aerea.
Gabriele Frasca, nella prefazione a Einaudi, 1999, afferma che il dettato che agita queste rime è debitore, tra le altre cose, “della forma «poetica» più pervasivamente diffusa nella nostra epoca, il claim pubblicitario, di cui, sia detto subito, queste filastroccate parrebbero essere il più disincantato contravveleno“.