Radio II

Titolo originale: Pochade radiophonique
Data di composizione: mai accertata (probabilmente primi anni Sessanta)
Prima trasmissione: BBC, 13 aprile 1975
Prima edizione: “Minuit” n. 16, novembre 1975
Edizioni italiane: Einaudi, 1980Einaudi/Gallimard, 1994

Per Radio II non è inopportuno scomodare l’immaginario BDSM: i personaggi di questo radiodramma sono infatti un essere ridotto in schiavitù, Fox, legato, imbavagliato e incappucciato; un aguzzino, Dick, muto e armato di frusta; un cosiddetto Animatore che tiene le redini del gioco e una Stenografa che ostenta atteggiamenti di sottomissione nei confronti di quest’ultimo.

Ma non di gioco si tratta, bensì di una sorta di condanna che riguarda tutti e quattro i personaggi e che in qualche modo li rende tutti schiavi di una non meglio identificata commissione di esaminatori.
La scena si sta ripetendo per l’ennesima volta. L’Animatore – aiutato dai convincenti mezzi di Dick – costringe Fox a parlare, dopo averlo liberato del bavaglio. L’obiettivo è quello di far sì che Fox riveli finalmente qualcosa, sebbene nessuno sappia esattamente cosa. La Stenografa deve prendere minuziosamente nota di quanto Fox dice, anche delle sillabe tronche (tranne che dei gemiti di sofferenza, che indispongono gli esaminatori). Stavolta Fox, dopo una prima vaga introduzione in cui parla di pietre, licheni, oceani e gallerie, si lascia sfuggire il riferimento a un personaggio femminile, una certa Maud. Mentre Fox rievoca Maud inizia a piangere.

Sorpreso da questo pianto inaspettato, l’Animatore chiede alla stenografa di modificare il rapporto da presentare agli esaminatori, spingendo sul sentimentalismo. In questo modo spera finalmente di accontentarli e di porre termine al suo lavoro (“Domani, chissà, potremo essere liberi“, è l’ultima battuta dell’Animatore, che chiude l’opera).

Secondo Gontarski il nome Fox potrebbe essere una storpiatura di ‘vox’. Questo nome tuttavia ricorda anche Foxrock, luogo di nascita di Beckett e simbolo di tutto il suo scavo a ritroso.

Gontarski (in The Grove Companion To Samuel Beckett, New York, 2004) vede nel nome Fox una storpiatura di “vox”. Fox sarebbe dunque la voce interiore, la voce dell’Homo Beckettianus che rievoca la sua vita ma evita accuratamente ciò che più lo addolora (i parallelismi non si contano: dalla Bocca di Non io ai pensieri di Eh Joe, al dolore provato da Croak in Parole e Musica quando viene nominata Lily, solo per citare i primi evidenti riferimenti). Ma il nome Fox ricorda anche Foxrock, luogo di nascita di Beckett e simbolo di tutto il suo scavo a ritroso, del suo inconscio autobiografico perennemente incalzante.

L’Animatore, la Stenografa e Dick non sono dunque altro che funzionari della coscienza (la commissione di esaminatori) che vuole che la voce interiore parli, dica finalmente quel che ha da dire. Tutta la scena potrebbe dunque svolgersi all’interno di una mente umana. Il rapporto tra torturatori e torturato, dunque, non ha qui alcun risvolto sociale. Per un Beckett “politico” che denuncia la condizione di chi è vittima degli abusi del potere bisognerà attendere Catastrofe. Qui la ricerca è ancora tutta rivolta ai recessi dell’interiorità umana (il “sé che parla di sé”, filo rosso di tutta la produzione beckettiana).

Il filosofo boemo Fritz Mauthner (1849-1923) fu uno dei pioneri della filosofia del linguaggio. Viene citato dall’Animatore quando raccomanda alla Stenografa di non farsi sfuggire neanche una parola di quelle pronunciate da Fox.

Il filosofo boemo Fritz Mauthner (1849-1923) fu uno dei pioneri della filosofia del linguaggio. Viene citato dall’Animatore quando raccomanda alla Stenografa di non farsi sfuggire neanche una parola di quelle pronunciate da Fox.

Il testo (la cui data di composizione non è mai stata accertata, ma che risale probabilmente ai primi anni Sessanta) è rimasto a lungo sepolto. Fu “riesumato” nel 1975 per una produzione BBC e un cast all star: Harold Pinter (l’Animatore), Billie Whitelaw (la Stenografa) e Patrick Magee (Fox) diretti da Martin Esslin. In Italia fu trasmesso dalla RAI il 20 ottobre 1980 (la regia era di Aulehla Klauss).

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