Commedia

Titolo originale: Play
Data di composizione: estate 1962 – dicembre 1963
Prima rappresentazione: Ulm-Donau (Germania), Ulmer Theater, 14 giugno 1963
Prima edizione: Faber & Faber, 1964
Edizioni italiane: Einaudi/Gallimard, 1994Einaudi, 2002Einaudi, 2005Mondadori, 2023

L’idea chiave di Commedia, l’opera teatrale che Beckett scrisse a cavallo tra il 1962 e il 1963, è la ripetizione, un meccanismo che l’autore avrebbe poi largamente usato nei suoi esperimenti televisivi degli anni Ottanta (basti pensare a Quad o a Nacht Und Träume). Volendo cercare un precedente illustre si potrebbe dire che anche Aspettando Godot è basato su uno schema ripetitivo: nel secondo atto, in fondo, accadono più o meno le stesse cose del primo (anche se le varianti sono contenutistiche e non solo formali). Ciò che fece dire a Vivian Mercier: “Aspettando Godot è una commedia in cui non accade nulla, per due volte“. Ma in Commedia la struttura a ripetizione scatta in modo pedissequo: giunti a cinque battute dal finale il copione detta: “Repeat play” (ripetere la commedia). E così accade, sebbene nella ripetizione le luci e le voci si affievoliscano, quasi a suggerire che ipotetiche ulteriori ripetizioni arriverebbero a svolgersi in un buio silenzio (cfr. la lettera di Beckett a George Devine del 9 marzo 1964 pubblicata in Egea, 1991).

Billie Whitelaw nella prima londinese di “Commedia” nel 1964. Il volto degli attori era ricoperto di argilla, quasi che ormai fossero un tutto unico con le giare che li racchiudevano. (Foto di Z. Dominic)

Billie Whitelaw nella prima londinese di “Commedia” nel 1964. Il volto degli attori era ricoperto di argilla, quasi che ormai fossero un tutto unico con le giare che li racchiudevano. (Foto di Z. Dominic)

La luce svolge un ruolo decisivo in questa opera. Essa infatti, provenendo da un’unica fonte, illumina di volta in volta i tre protagonisti – un uomo, sua moglie e la sua amante – costringendoli a parlare: una sorta di inquisitore luminoso che vuole far affiorare la trama d’adulterio che lega i tre (Knowlson risolve biograficamente l’identità dei personaggi: Beckett, la moglie e Barbara Bray, un’autrice di testi della BBC).

Il nono cerchio dell’inferno dantesco in una incisione di Gustave Dorè (part.). I traditori fuoriescono da lastre di ghiaccio con la sola testa.

Il nono cerchio dell’inferno dantesco in una incisione di Gustave Dorè (part.). I traditori fuoriescono da lastre di ghiaccio con la sola testa.

I personaggi sono chiusi in giare da cui sbuca solo la testa (ancora una volta un’immagine dantesca: Inferno, canto XXXII, cerchio dei traditori). Il testo è di una asciuttezza mirabile, un perfetto dramma borghese calato in una desolazione siderale. La ripetizione in diminuendo aggiunge un’ulteriore nota di angoscia lasciando intuire il passaggio da commedia a tragedia. Così Cascetta: “Tutto è inautentico rispetto all’unica autenticità: l’esser-ci per la morte. Tutto si allontana nell’irrilevanza mediante il gioco umoristico e parodistico della prima parte, ma tutto si rifà serio nella tensione della seconda“.

Sandro Merli nella prima italiana di “Commedia” nel 1964 (foto Centro Studi del Teatro Stabile di Torino)

Sandro Merli nella prima italiana di “Commedia” nel 1964 (foto Centro Studi del Teatro Stabile di Torino)

La prima di Commedia si tenne all’Ulmer Theater di Ulm-Donau, in Germania, il 14 giugno 1963, quando ancora Beckett doveva completare la stesura definitiva che sarebbe poi stata pubblicata. Qui venne in contatto con l’incredibile professionalità e dedizione dei teatranti tedeschi: “Beckett rimaneva a bocca aperta quando uno degli attori non riusciva al primo tentativo […] e il regista, inesorabilmente, interveniva per rimproverarlo di fronte all’intera compagnia […] Se una cosa del genere fosse accaduta in Inghilterra o in Francia l’attore, pensava Beckett, avrebbe abbandonato il palcoscenico” (la fonte è Bair).

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