Dondolo
Titolo originale: Rockaby Data di composizione: 1980 Prima rappresentazione: Buffalo, Center for Theatre Reasearch, 8 aprile 1981 Prima edizione: Grove Press, 1981 Edizioni italiane: Einaudi, 1985 – Einaudi/Gallimard, 1994 – Einaudi, 1999 – Einaudi, 2002 – Einaudi, 2005 – Mondadori, 2023
C’è un elemento comune che lega alcuni tra i più celebri monologhi beckettiani: la dissociazione tra il protagonista (l’io-in-scena, da un lato) e il testo (l’io-in-narrazione, dall’altro). Questa dissociazione è consapevole ne L’ultimo nastro di Krapp, dove il vecchio personaggio riascolta se stesso attraverso i nastri-diario registrati nel corso della sua vita; è invece totalmente patologica in Non io, dove la vecchia derelitta parla in terza persona come effetto di un processo psicologico di rimozione del suo squallido passato. Ma ecco che in Dondolo, come nota anche Katharine Worth (in Bulzoni, 1997), l’uso della terza persona “contribuisce a formare l’impressione di una strana unità […] La voce registrata inizia a descrivere questa figura, ma è di sua madre che parla“. Torna dunque l’ambiguità, la storia nella storia, che Beckett aveva già sperimentato in Passi (dove le personalità di May e Amy si confondono) o nel teledramma Di’ Joe (dove la voce “mentale” potrebbe essere quella della prostituta suicida di cui essa stessa parla).
Samuel Beckett e Billie Whitelaw discutono il testo di “Dondolo”.
In Dondolo, come in molti altri dramaticule, il copione identifica la protagonista attraverso una semplice lettera maiuscola (W, in questo caso: woman, “donna”). In scena appare appunto una donna “precocemente invecchiata“, vestita con un abito di merletto nero, elegante ma consunto, adagiata su una sedia a dondolo (“Braccioli curvi all’indietro per suggerire l’idea di abbraccio“, precisa Beckett nelle note al testo). La sedia sembra dondolare autonomamente, senza che la donna compia alcuno sforzo per imprimere il movimento. Una voce fuori campo narra la storia di una vita solitaria in perenne ricerca di “qualcun altro come lei“. Quando la voce cessa, la sedia si ferma di colpo, c’è una leggera diminuzione della luce. Allora la donna esorta “ancora“. E la voce e l’oscillazione riprendono. In tutto, la voce parlerà quattro volte. Al termine della quarta fase, quando si stanno per consumare i quindici minuti di durata della pièce, echeggiano le ultime battute (“dondolala via, dondolala via“), la luce scema lentamente nel buio e la sedia si ferma, presumibilmente per sempre.
A proposito dell’unica battuta recitata dal vivo dalla protagonista (“Ancora“), Mel Gussow ha notato: “la ripetizione dell’ordine diventa sempre più terrificante fino a quando è una richiesta di sostegno e sopravvivenza, un grido che ricorda il lamento di Nagg, il padre senza gambe rinchiuso in una pattumiera in Finale di partita, quando implora il proprio biscotto quotidiano“.
Il regista Alan Schneider (1917-1984) ha accompagnato Beckett in molti progetti, a partire dalla prima americana di “Aspettando Godot” nel 1956.
“Un commovente poema sulla solitudine” dirà Gontarski a proposito di quest’opera che Beckett scrisse di getto, in inglese, nel 1980. La traduzione italiana del titolo originale, Rockaby, non riesce a conservare il gioco di parole tra il verbo to rock, “dondolare” e lullaby, “ninna nanna”. Quando l’autore tradusse il testo in francese scelse per il titolo la parola berceuse, mettendo in risalto il secondo vocabolo che compone il neologismo originale. La cantilena tipica delle nenie è stata attuata magistralmente da Billie Whitelaw, l’attrice scelta per la prima teatrale (8 aprile 1981, Centro di Ricerca Teatrale di Buffalo, regia di Alan Schneider), che eseguì la parte della voce fuori campo in bilico tra il parlato e un lento cantato.
La prima italiana di Dondolo fu messa in scena nel 1986, in occasione dell’ottantesimo compleanno dell’autore, nell’ambito dello spettacolo Buon compleanno Samuel Beckett. W era interpretata da Rossella Testa, diretta da Giancarlo Sepe.