Finale di partita
Titolo originale: Fin de partie Data di composizione: 1955 – 1957 Prima rappresentazione: Londra, Royal Court Theatre, 3 aprile 1957 Prima edizione: Editions de Minuit, 1957 Edizioni italiane: Mondadori, 1969 – UTET, 1973 – Einaudi, 1990 – Einaudi/Gallimard, 1994 – Einaudi, 2002 – Einaudi, 2005 – Mondadori, 2023
Nel gioco degli scacchi, il finale di partita designa la terza e ultima parte dell’incontro, dopo l’apertura e il mediogioco. Non tutte le partite a scacchi si chiudono con il finale di partita. Se vi è una grande differenza tra la bravura dei due giocatori, spesso il migliore riesce a battere l’avversario già nel mediogioco, quando non addirittura nella fase di apertura. Quando invece i due sfidanti sono entrambi esperti è facile che l’incontro si protragga a lungo e si giunga dunque al finale di partita, una fase caratterizzata dall’esiguo numero di pezzi superstiti sulla scacchiera e dal fatto che il re non è più soltanto un pezzo da difendere ma diventa anche una figura di attacco.
Questo preambolo scacchistico è necessario per analizzare uno dei grandi capolavori del teatro beckettiano: Finale di partita. L’analogia tra il contenuto del testo e il gioco degli scacchi è stata espressa dallo stesso Beckett, il quale tra le altre cose era anche un discreto giocatore.
La prima assoluta di “Finale di Partita” al Royal Court Theatre di Londra, il 3 aprile del 1957. Da sinistra, il regista Roger Blin nella parte di Hamm e Jean Martin in quella di Clov. (Foto Lipnitzki-Viollet)
L’atto unico vede protagonista Hamm, un vecchio e ricco signore giunto al termine della sua esistenza. È lui il pezzo del re in questo finale di partita, continuamente messo sotto scacco dagli altri personaggi, primo tra tutti Clov, il suo servitore. Il botta e risposta incalzante tra questi due personaggi, che costituisce l’ordito più evidente della trama del testo, sembra veramente un alternarsi di mossa e contromossa.
Hamm è il re in questa partita a scacchi persa fin dall’inizio. Nel finale fa delle mosse senza senso che soltanto un cattivo giocatore farebbe. Un bravo giocatore avrebbe già rinunciato da tempo. Sta soltanto cercando di rinviare la fine inevitabile.
Samuel Beckett spiega “Finale di partita” al cast durante le prove dello spettacolo allo Schiller Theater di Berlino
A differenza dell’ambientazione in fondo realistica di Aspettando Godot (un albero, una strada di campagna, due vagabondi), Finale di Partita si svolge in uno scenario che oggi verrebbe definito post-atomico. Tutto lascia presagire che sia avvenuta una catastrofe che ha cancellato quasi ogni traccia di vita sulla Terra. Hamm, Clov e i due genitori di Hamm sono gli unici superstiti che ci è dato di vedere e che trascorrono i loro ultimi giorni, ormai senza speranza, in quella che sembra essere la sala principale del palazzo di Hamm. La stanza in cui si consuma questa tragicommedia è stata spesso paragonata all’interno di un cranio per via delle due alte finestre centrali che ricordano le cavità oculari. Altri (ad esempio Cascetta) hanno lasciato implicitamente intendere che la scena sia in realtà l’interno di una grande arca che sta solcando il pianeta all’indomani di un nuovo esiziale diluvio.
Hamm, cieco e paralizzato sulla sua sedia a rotelle, continua a tormentare Clov dandogli ordini assurdi e poi ritrattandoli in continuazione. Ma anche Clov (l’esatto opposto di Hamm: ci vede ma non può piegare le gambe per sedersi) tormenta a suo modo Hamm, con il suo atteggiamento passivo-aggressivo, alternando la minaccia di abbandonare il padrone al suo ostentare obbedienza. I genitori di Hamm (la madre Nell e il padre Nagg) sono invece ridotti a tronchi umani e vegetano all’interno di due bidoni della spazzatura.
I genitori di Hamm nei bidoni della spazzatura. Da sinistra Emanuela Villagrossi nella parte di Nell e Paolo Ricchi in quella di Nagg. L’allestimento è quello del 1992 di Federico Tiezzi (foto: Tommaso Le Pera)
Dal punto di vista delle dinamiche di relazione tra i personaggi, Finale di partita ricorda molto Porta chiusa di Jean Paul Sartre. La desolata sala del trono di Hamm ricorda la stanza oltretombale in cui sono confinati Garcin, Ines e Estella: “L’inferno sono gli altri“. Ogni personaggio è al tempo stesso aguzzino e vittima degli altri. Ma all’epoca del suo debutto Finale di partita venne recepito soprattutto come il grido di disperazione dell’umanità abbrutita dagli orrori della seconda guerra mondiale e dei campi di sterminio in particolare. Questa lettura storica ha inizialmente offuscato quella metastorica (e a giudizio di chi scrive più esatta): il tentativo di rappresentare l’assoluta mancanza di senso e l’altrettanto assoluta necessità di trovarlo. Una chiave interpretativa tutta giocata sul piano strettamente filosofico è quella contenuta nel celebre saggio di Theodor W. Adorno, Tentativo di capire Finale di partita (reperibile in Italia in diverse edizioni tra cui L’Orma, 2019; Bulzoni, 1997 e SugarCo, 1994). Adorno tenta, tra le altre cose, di decifrare i nomi dei personaggi. Hamm, secondo il grande filosofo, deriva da Hamlet tagliato a metà. Hamm sarebbe insomma un Hamlet incompleto (e dunque un pezzo di carne, ham, ridotto come è su quella sedia a rotelle). Quando Beckett incontrò Adorno gli comunicò che la sua interpretazione era errata. Ma Adorno insistette nonostante Beckett si stesse alterando. Il filosofo tedesco era così convinto della sua tesi che continuò a esprimerla in diverse conferenze anche dopo che Beckett aveva chiaramente negato qualunque attinenza tra il suo personaggio e l’eroe shakespeariano.
Ultimato dopo alcune stesure (la prima, risalente all’aprile del 1956, si componeva di due atti) Finale di partita, nonostante l’autore fosse ormai celebre grazie ad Aspettando Godot, stentò comunque a trovare impresari disposti a metterlo in scena. Il testo, l’idea stessa dell’opera, erano troppo distanti dal gusto del pubblico medio. Senza contare che alcuni attori, quando seppero che sarebbero dovuti comparire in scena dentro bidoni della spazzatura, rifiutarono la parte. Fu ancora una volta Roger Blin ad aiutare Beckett in questo difficile secondo esordio teatrale. La prima si ebbe al Royal Court Theatre di Londra, il 3 aprile del 1957 e le critiche furono quasi tutte negative. Ci sarebbe voluto un po’ prima che pubblico e critica si accorgessero che Finale di partita è uno dei più grandi capolavori di Beckett.