Di’ Joe
Titolo originale: Eh Joe Data di composizione: 1965 Prima trasmissione: Rete televisiva tedesca SDF, 13 aprile 1966 Prima edizione: Faber & Faber, Londra, 1967 Edizioni italiane: Einaudi/Gallimard, 1994 – Einaudi, 2002 – Einaudi, 2005 – Mondadori, 2023
Il biografo Knowlson lascia intuire che Beckett ebbe l’idea di utilizzare la telecamera come mezzo di espressione per la sua poetica quando gli capitò di vedere in tv alcune riprese delle sue opere teatrali: racchiuse nella scatola catodica, le esistenze maestosamente miserabili dei suoi personaggi perdevano significato, ma altri significati inaspettati apparivano grazie alle inquadrature ravvicinate.
Dal teatro alla radio dunque. Quindi al cinema e infine alla tv. Perché questo sperimentare di Beckett coi linguaggi multimediali? La questione è ben inquadrata da Massimo Puliani (in Halley, 2006): “Perché, nella ricerca che gli è propria di perfezione, egli “dismette” a un tratto il linguaggio teatrale (…) e si arrischia ad apprenderne di più (della radio, del cinema, del video: che sono fra loro ben differenti), e nuovi? Ove il rischio avrebbe potuto essere l’incapacità di comprenderli (o comprenderli solo in parte, e male) e di padroneggiarli; con conseguente banalizzazione, appiattimento o perdita di incisività di contenuti e principi. Forse, è la risposta, per lo stesso motivo per cui egli, di lingua e cultura anglosassone, decide di abbandonare la prosa in inglese e di scrivere un dramma in francese. Ovvero per un avvertimento di insufficienza al proprio sentire strutturale e linguistico; l’anelito a un superiore grado di esattezza, definizione, necessità”.
L’attore irlandese Jack MacGowran (1918-1973) in “Di’ Joe” (Foto: BBC)
La definizione di “testo per la televisione” può trarre in inganno. Sia questo, sia gli altri testi “televisivi” di Beckett, non sono da considerarsi simili né agli sceneggiati televisivi del passato, né alle attuali fiction. Si tratta di vere e proprie pièce destinate però non al teatro ma, appunto, alla televisione. La differenza non è trascurabile: la telecamera diventa infatti vero e proprio strumento espressivo, quasi un ulteriore personaggio sulla scena. Insomma Beckett, per usare un termine abusato ma qui inevitabile, sperimenta.
Non è un caso che l’unico movimento di camera di quest’opera (che, ricordiamolo, dura poco più di venti minuti) sia costituito in buona parte da un lentissimo zoom, ovvero un effetto artistico che né il teatro né la radio né la letteratura gli potevano mettere a disposizione.
La dinamica di Di’ Joe è estremamente semplice: all’inizio vediamo l’ennesimo miserabile beckettiano, Joe, un uomo sulla cinquantina che si aggira nella sua stanza. Dopo aver chiuso tutte le aperture che sono intorno a lui (la porta, la finestra, l’anta dell’armadio), Joe si siede sulla sponda del letto. A questo punto la telecamera inizia il suo lentissimo inesorabile zoom verso un primissimo piano di Joe. Improvvisamente, però, si ode una voce femminile. È una voce che Joe sente mentalmente e appartiene ad una sua ex. La voce ricorda a Joe la miseria della sua condizione, la sua incapacità di allacciare rapporti umani, le sue sordide frequentazioni settimanali con una prostituta, ma soprattutto ricorda a Joe le circostanze in cui egli spinse al suicidio una delle sue donne. Ogni volta che la voce parla la telecamera si arresta. Appena la voce cessa la telecamera riprende a zoomare lentamente. Questo fino a quando non si raggiunge il primissimo piano del volto di Joe, che per tutto questo tempo non ha fatto altro che fremere impercettibilmente con gli occhi sbarrati nel tentativo tutto interiore di far zittire quella maledetta voce.
Sono stati i 22 minuti più faticosi della mia vita.
Jack MacGowran racconta la sua prova d’attore in «Di’ Joe»
Di’ Joe (nel titolo c’è il famoso “pungolo” beckettiano: l’esortazione, l’incalzare che si ritrovano anche in Atto senza parole II o nella tarda narrativa, ad esempio nell’incipit di Peggio tutta, “on, say on”) fu scritto da Beckett espressamente per l’attore irlandese Jack MacGowran che aveva già impersonato diversi personaggi teatrali beckettiani. Il testo venne prodotto e realizzato dalla BBC per la regia di Alan Gibson con MacGowran nella parte di Joe e Sian Phillips come voce fuori scena. Per una serie di rinvii, però, la prima versione ad andare in onda fu quella per la tv tedesca SDF, il 13 aprile 1966, per la regia di Beckett e con Deryk Mendel nella parte di Joe e Nancy Illig come voce. La versione inglese non andò in onda che il 14 luglio dello stesso anno.
“Sono stati i 22 minuti più faticosi della mia vita – ricorderà l’attore Jack MacGowran (l’intervista è riportata in Bulzoni, 1997) – perché la figura resta in silenzio e mentre ascolta la voce presente nella sua testa cerca di soffocarne la memoria. Questa pièce fotografa davvero la mente“. E ancora: “Il ruolo attivo della telecamera rispecchia la resistenza stoica del protagonista“. Sian Phillips (la voce) ricorda invece quanto Beckett fu esigente per i tempi e le intonazioni: “Mi venne spiegato che ogni segno di punteggiatura aveva un valore preciso e cominciai a darmi il tempo con il metronomo“. L’eliminazione degli inevitabili cromatismi vocali fu ottenuta in studio di registrazione tagliando le frequenze più alte e più basse.